Un sorriso nel dolore: Clownterapia in corsia.
Tutto è incominciato cosi’..
Mi sentivo spesso ripetere che ho un viso mimico, che ci so fare con i bambini, del perché non provavo a cambiare lavoro.
Da lì a pochi giorni, mentre stavo andando a trovare mio papà ricoverato in ospedale, all’ingresso, vedo la locandina del “Pianeta dei Clown”, associazione che da lì a poco, avrebbe fatto un corso per diventare clown in corsia. Non aspettai un secondo, chiamai immediatamente.
E così iniziai un corso di due giorni, uno improntato sulla conoscenza dell’altro, sulla fiducia, sulle emozioni, l’altro come insegnamento per creare varie forme con i palloncini, cosa che mi viene ancora male dopo 11 anni.
Un nome, come mi sarei chiamata? Mi piace molto fare i codini come pippi calzelunghe, ma non era il nome giusto…stavo leggendo in quel periodo la vita di Gandhi, lui prima di essere il grande maestro, è stato il fratello di tutti i cittadini, che in indiano si dice Bhai…quale nome piu’ bello!
E così il 20 maggio 2007 mi consegnarono l’attestato di clown in corsia.
Ricordo ancora le prime ore del giorno dopo, l’entusiasmo e la gioia nel pensare a come colorare il camice, quali disegni mi potevano rappresentare.
Arriva una chiamata ‘ieri Stefano è morto di infarto’. Stefano rappresenta per me un Amico fratello. E’ come se in quel momento fossi sprofondata in un abisso dopo aver visto il cielo.
Dovevo uscire il 26 maggio, la mia prima uscita. Con quel dolore come potevo far sorridere qualcuno?
Decisi di uscire, Stefano voleva questo. Ed eccoci all’ospedale di Cuggiono, con Bobosun e Trilli che mi hanno sostenuto dall’inizio facendomi sentire parte di questo pianeta.
Prima camera con Bobosun, troviamo un signore Mario, che appena ci vede scoppia a piangere, noi che dovremmo far sorridere, ma con il tempo capisci che il pianto è spesso liberatorio, e tu sei lì con loro, mano nella mano, occhi che guardano e ascoltano.

Mario non voleva più farci andare via, gli abbiamo donato un sorriso, io e Bobosun usciamo dalla stanza guardandoci felici.
Da li e’ passato tanto tempo, siamo cresciuti con loro che ci aspettano come se fossimo parte della loro famiglia, ma quello che continua a restare nel nostro cuore ogni volta che usciamo in corsia, sono loro, i loro sorrisi, i loro pianti, i loro ringraziamenti.
Essere clown significa riuscire a portar fuori attraverso immagini, emozioni, sogno, musica, il dolore, la monotonia di una camera sempre uguale a se stessa, la prassi ospedaliera, ma soprattutto la solitudine.
Ricordo in oncologia Gianni con tutta la sua famiglia, Risotto suona, tutti insieme cantiano, ci stringiamo in cerchio, Gianni chiude gli occhi, canta sottovoce, con un sorriso sul volto, forse ricordando qualcosa che la musica inevitabilmente porta. Stiamo per salutarlo e ci dice ‘ma come è possibile che dopo pochi minuti io vi voglia già un gran bene’. Torniamo dopo 2 settimane, Gianni sta morendo, le infermiere non vorrebbero che entriamo, i parenti invece ci vogliono.
Decidiamo di entrare in pochi, Risotto suona come due settimane prima…accompagnare alla morte con la musica è una morte piu soave.
Dicono che l’udito è l’ultimo senso ad andarsene. Con questa esperienza ho accompagnato mio papà, cantando e raccontandogli il suono dell’acqua del fiume, i colori delle montagne innevate, in un prato pieno di profumi dei fiori. Mio papà è volato leggero come Gianni.
E poi c’e’ la dialisi, quel reparto che tanto ti dà e tanto ti toglie.
Quel reparto in cui non posso fare a meno di andare. Persone che incontri ogni due settimane, persone che entrano in te, come fratelli, sorelle, Amici, che quando arrivi, continui con il raccontarti e il raccontarsi., persone a cui abbiamo cantato De Andrè, perché il grande poeta potesse lasciargli la poesia, persone a cui abbiamo voluto bene, un bene smisurato, e che poi a un certo punto non vedi più.
C’’era Alice, una ragazza di 15 anni, ama in modo smisurato Michael Jackson, è il suo ragazzo, noi stiamo al suo racconto, gli regaliamo dvd in modo che nelle ore di dialisi possa ascoltarlo, noi gelose di questo suo grande amore.
Lei è stata fortunata, ha avuto il rene di sua mamma.

Voglio condividere una lettera che Salvatore ci ha dato come augurio di Natale.
Dialisi 6-4-2015
Quasi tutti i giorni vengo all’ospedale di Magenta a fare dialisi per poter vivere, e forse salvarsi qualche giorno in più.
E’ un sacrificio umano che faccio, stare 4 ore sotto pressione.
Far smaltire l’acqua dei polmoni, pulire il sangue dai reni che non vanno.
Poter ritornare a casa, certi giorni mi viene l’illusione di non farcela, ma sono contento lo stesso, la mia vita dipende da tutti, computer, medici, tecnici, infermieri e buona volontà.
Il cuore qualche volta fa scherzi, corrono tutti per farlo lavorare, quando riparte rido, è ripartito ora puoi anche dormire, guardo tutti, è una lotta che faccio ogni due giorni, la vita e’ sacra, una lotta senza mai stancarsi, il lume si riaccende, e si torna a casa, dove trovo affetto e simpatica.
La gente mi guarda spaventata, vedendomi ancora in vita. La mia Sara stava bene e se ne è andata, e io aspetto ora per farle compagnia.
Questa è la vita, a volte dura, ma bisogna accettare quello che Dio manda e viene.
Ringrazio voi tutti e la vostra bellezza con tanta dolcezza.
Buone feste e Buon Natale.
Salvatore.
Questi sono regali che fanno bene al cuore, noi andiamo in corsia a portare sorrisi, ma quello che torna è un grande affetto, una grande gratitudine, cose di cui ora dopo 11 anni non potrei farne a meno!
Antonella Garavaglia ( Operatrice in Clownterapia e Socia di TeatroInBolla)