A PIEDI SCALZI
( Intervento-Performance di Paola Raimondi in occasione dell’ apertura dei lavori del Convegno di Teatroterapia d’Avanguardia “Tradire il quotidiano per sorprendersi” tenutosi il 15 ottobre 2017 a Pioltello -MI- ).
INTRODUZIONE
Vi parlerò di “cose” colorate, strampalate (ma l’apparenza inganna).
Ad esempio, di un paio di calzini…spaiati e di un orecchino…solo.
Minuzie inconsistenti forse, che forse fanno sbalordire gli altri, fino a suscitare occhiate in/pertinenti o domande che si credono “sensate”, come il pesce in salsa verde, tipo:
– Guardi, signora, che ha perso un orecchino!-.
Bravo Lucio Dalla, che per libera scelta calzava un calzino di un colore e l’altro di un colore diverso.
Una mattina sono uscita di casa. Sarà stata la fretta, percorrendo il vialetto verso il cancello mi sono accorta di avere a un piede una scarpa e a un altro una ciabatta: la mia Paola casalinga e la mia Paola avventurosa.
Certi tipi lì attorno (operai al lavoro), mi lanciavano certe occhiate!
E io, recitando la parte…: – Oh, che male al piede che ho!…-, sussurrando, ma abbastanza forte che mi udissero.
Questa necessità di giustificarsi, di farsi perdonare un’adempienza, uno svincolo fuori dalle righe, come una gomma bucata che occorre subito riparare, per ripartire “in quarta”, ci condiziona tutti, fino a diventare un autentico dovere.
Orbene, ho usato pre/meditatamente questo linguaggio irriverente, per scioccarvi un po’; e magari non ci sono neppure riuscita.
PERCHE’ IL TITOLO
Calziamo i piedi nelle scarpe, fasciamo i piedi nelle calze.
Non tocchiamo, né sentiamo più la terra.
Ode ai nostri piedi, che ci conducono, obbedienti, alla meta.
Ma se sfilassimo sandali e stivali, pantofole e calzini, camminando a piedi nudi lungo il mare o per il bosco: calore e frescura salirebbero lungo la corteccia del nostro corpo, portando linfa vitale ai desideri, alla conoscenza di sé.
Piedi scalzi, quindi, come metafora della nostra assoluta anche se – a volte incerta, a volte confusa a volte timorosa – volontà di autoliberazione.
PERCHE SONO QUI
Mi trovo a un Convegno di Teatro Terapia e mi sono domandata : “cosa ci faccio io?”.
Che il teatro sia terapeutico, ormai lo sanno anche le pietre, ma io preferisco immaginare che lo sappiano gli alberi, e lì a stormire: “…teatro è terapia…”.
Lo so, lo so, l’ho vissuto in prima persona: qualche anno fa, mi preparavo a uno spettacolo: durante le prove il regista mi incitava: – Ti fa bene recitare, sei ansiosa, recitare ti farà superare l’ansia.-
Anche dopo lo spettacolo l’ansia mi è rimasta; ed è un cane fedele che mi accompagna sempre.
Ma se invece di recitare in un ruolo la vita di un altro, che sia un personaggio ancora in cerca di autore o un personaggio provvisto di copione millimetrato, io indossassi i miei panni, quelli che conosco tanto bene che li infilo dalla testa ai piedi anche al buio e che conservano il mio odore, persino il mio sudore, è come se giocassi in casa, sdraiata sul divano a fare gli onori di casa ai miei invitati: amici parenti e conoscenti.
Qualcuno ha parlato di in/fedeltà dalle proprie maschere, dai propri ruoli, per ritornare a essere se stessi.
Parafrasando, o invertendo il senso della parola, parlerei invece di fedeltà.
Parlo, infatti, di una fedeltà molto semplice, la fedeltà della tua ombra che ti accompagna sempre: il tuo te stesso, la tua te stessa, quella parte di te nella quale confidi, alla quale confidi, quella con cui parli la sera, dopo le fatiche (e le menzogne o le apparenze) del giorno; o nel dormiveglia, quando ci sei, sveglia, ma ancora i pensieri corrono, a briglia sciolta, verso il verde di un’aperta prateria.
TEATRO / TERAPIA
Ma, allora, il teatro, è terapia?
Il teatro PUO’ essere terapia.
Ma entriamo nel dettaglio, vediamo da vicino:
-Teatro come inter/relazione tra chi recita e chi guarda, tra Attore e Spettatore, in un luogo a questo deputato, che nominiamo come Spazio Scenico.
-Terapia come Cura, come Ri/soluzione di una malattia.
Nel Teatro Terapia l’attore e lo spettatore si identificano, sono lo specchio l’uno dell’altro.
Non a caso, qui, le attrici si definiscono Non Attrici, si defilano, cioè, dai ruoli, escono dalla porta stretta, seguono un percorso non lineare, che è quello della creatività dell’improvvisazione, della Non azione precostituita, dal copione dell’attore; ma anche e soprattutto, dal copione del vivere quotidiano.
Si tolgono la Maschera.
Togliersi la maschera, restare a piedi nudi, entrare in contatto con se stessi è il primo atto della Cura.
Lo Spazio Scenico diventa allora la Bolla dove ognuno galleggia, come nell’acqua primordiale del grembo materno.
Essere/ritornare nella bolla è ritrovare se stessi.
Parole banali, forse.
Abbiamo così tanta paura di fermarci, che arranchiamo faticosamente lungo l’arco del giorno, o corriamo velocemente: per non guardarci dentro.
Ma nel momento della Cura, lasciamo cadere, con le maschere del giorno: paure, titubanze, giudizi
e senso critico: ci abbandoniamo a ciò che Siamo e stiamo lì, al Centro della bolla, al centro di noi stessi.
Allora è Con/fidenza, fiducia e sicurezza.
Allontaniamo la Vergogna, poiché: siamo Noi e ci accettiamo Così Come Siamo.
Nella bolla tutto à possibile, lecito e vero.
Nel percorso che facciamo superiamo ostacoli, scavalchiamo l’ordinario per lo Straordinario, che è la Fedeltà a noi stessi; ed è finalmente Sorpresa.
L’ESPERIENZA
Chi fa esperienza di Teatro Terapia raggiunge il Centro di se stesso, prende contatto profondo con il proprio corpo e impara a leggerne i segnali: le emozioni, gli impulsi, i bisogni.
E’ un lavoro di traduzione di tras/formazione.
Chi fa esperienza di Teatro Terapia guarisce: riconosce le ferite, le culla, le lenisce; guarda in faccia la paura e si inventa il coraggio.
Impara un nuovo linguaggio: il corpo dà voce, porta all’esterno l’interno.
Chi fa esperienza di Teatro Terapia è capace di dire:
“ Non posso più farne a meno”.
“Mi ha cambiato la vita”.
“Mi ha aiutata a capire”.